Scegliere di vedere: incontro con Chiara Serini

Questo racconto è diviso in più parti: 1. L’incontro | 2. Scegliere di vedere | 3. Piccoli grandi passi

“Nei periodi più intensi di lavoro sono abituata a perdere molto peso. Una sera, durante uno di questi periodi, mi sono stesa a letto nuda e complice la perdita di peso ho sentito una massa sotto al seno sinistro. E’ iniziata così”

Ho conosciuto Chiara la prima volta tramite sua sorella Emanuela, e insieme hanno partecipato a Younalogue. La storia di Chiara però, come quella di altre persone conosciute attraverso questo progetto, ha bisogno di un racconto ulteriore che si arricchisca di parole e nuove foto. Sono andato così a farle visita a casa sua, in una parte di Roma molto pulsante, per conoscerla meglio e imparare da lei un nuovo alfabeto del corpo.

Vengo accolto a casa di Chiara da un buon caffè e da una gatta adorabile. Chiara inizia subito a parlarmi dei cambiamenti arrivati nella sua vita dopo la diagnosi e il primo è stato proprio con la sua gatta: ora passano più tempo insieme rispetto a prima, la accudisce con più cura, mangiano insieme e il loro rapporto si è stretto ancora di più.
Chiara ha alcune cose da sbrigare e la seguo fuori in balcone, dove il sole picchia forte, e dove lei ha creato un suo giardino personale. Coltivare piante e vederle crescere è qualcosa che la fa riagganciare in maniera sana al suo passato, dove viveva in maggiore simbiosi con la natura rispetto a quanto si possa fare in un’area così densamente urbanizzata.
Il rapporto con la natura è fondamentale, però, e Chiara non si è arresa al cemento ritagliandosi il suo spazio verde esteriore e interiore: non è un caso che il benefico rapporto con la natura l’abbia portata anche ad affidarsi a un naturopata per controbattere in modo naturale gli effetti severi della chemioterapia, un percorso sì di guarigione ma molto tortuoso.

Il recupero del rapporto con gli elementi naturali e più ancestrali della sua vita l’ha portata a rallentare felicemente. I ritmi a cui era abituata, il lavoro frenetico, gli orari sballati e i pasti irregolari non sono fatti per una vita sana.
Il corpo lo sa e l’ha avvisata nell’unico modo in cui lei lo avrebbe ascoltato.
Altre avvisaglie, altri stress, rapporti tossici non erano bastati: lei era in grado di saltarne a pié pari la lezione. Poi il messaggio è stato dato in una forma per lei assolutamente inequivocabile e la sua reazione è una delle cose che maggiormente mi ha affascinato della sua storia. Chiara ha rallentato, si è posta molte domande e soprattutto si è chiesta cosa ci fosse nella sua vita di così dannoso. Ha tolto i rami secchi allora, ha ripreso possesso del suo tempo e dei suoi spazi ed è rifiorita.

Il cancro mi ha dato più di quello che mi ha tolto

Siamo abituati a una retorica per cui sacrificarsi per il lavoro è il giusto approccio alla vita adulta, e in questo percorso perdiamo davvero tanto di noi stessi. Tutto ciò che perdiamo non viene però dimenticato: il corpo ricorda, e quindi sacrificare significa anche perdere il proprio corpo.
Chiara lo ha capito e per questo è alla ricerca di questo corpo che era stato lasciato indietro al punto da dover gridare per farsi ritrovare. Un’altra delle forme di questa ricerca è la riscoperta della propria femminilità secondo i simboli e segni che trasportano a lei questo concetto. Ogni mattina, ad esempio, si disegna le sopracciglia cadute per la chemioterapia, si rallegra per la ricrescita dei capelli (non vedo l’ora di poterli tenere comunque corti, ma per scelta), sceglie con cura abiti che le facciano apprezzare il proprio corpo.

Quando vediamo una donna che ha perso i capelli per strada, la pensiamo malata. Non è il cancro a farti cadere i capelli, ma la terapia. Una donna che ha perso i capelli non è quindi una donna malata, ma una donna che sta guarendo

Chiara mi racconta molte cose di sé, in questa casa dove tutto ora è scelto con sapienza, disegnato per una vita che vuole essere vissuta secondo i propri ritmi e il proprio benessere.
E’ lieta di lasciarsi fotografare perché le immagini sono importanti, le immagini sono forti.
Quando leggeva i racconti di donne che stavano rinascendo dal cancro e scrivevano di “teste spelacchiate” si immaginava semplicemente donne con la testa rasata. Non è così che ti cadono i capelli a causa della chemio, per questo è importante vedere.
Si mostra nel raccontarsi, e mi mostra il suo corpo. Mi mostra i rush cutanei che stanno sparendo da quando cura l’alimentazione per non affaticare il fegato, già provato dal filtraggio delle tossine rilasciate dalla terapia. Ora fa pasti regolari e la sua dispensa è orgogliosamente organizzata sulla base di ciò che la fa stare bene.

La sua routine è molto ferrea, prepara tutto da sé e tutto è finalizzato al riequilibrio delle sue energie. Serve molta disciplina, ma gli effetti si vedono ed è un buon approccio alla vita: ora Chiara è più padrona di sé di quanto non ne abbia avuta percezione in passato.
Facciamo una pausa per il pranzo e ho la fortuna di assaggiare del pollo al cocco con formaggio di anacardi e crema di fagioli tutto rigorosamente preparato in casa da lei (sono un po’ “foodie”, lo devo ammettere).
Per il pranzo ci fa compagnia un piccolo mammifero invadente.

Dopo pranzo, entriamo nel tempio di Chiara: la sua camera da letto.
Tutto qui parla di lei: le frasi motivazionali, il pc dal quale invia e riceve i risultati delle analisi, la spada da kung fu, i libri di arte (ci torneremo tra poco) e viaggi e i suoi due più importanti compagni in questo percorso di riscoperta: Buddha e Ganesha, che rispecchiano la dualità del suo Io interiore, la parte più spirituale e quella più proiettata verso la materia.

Nel suo tempio, Chiara torna in contatto con se stessa e con i suoi desideri.
Mi mostra una chitarra, strumento che ha imparato a suonare appunto per uno di questi desideri finora rimasto inespresso.
Sulla scrivania c’è un collage di sue foto in cui, rasata, prende parte a una performance elaborata insieme a sua sorella: volevamo giocare a trasformare un volto senza capelli per motivare le altre donne a fare lo stesso. Come a dire che ci sia ancora molto da immaginare per un volto anche se non ha i capelli. Pensarsi, ridisegnarsi prima di tutto.
Il letto è il centro del suo tempio: qui Chiara trascorre il suo tempo meditando, un’altra delle riappropriazioni in questa nuova vita che sta calibrando sulle richieste ora finalmente ascoltate del suo corpo.
Qui Chiara mi mostra anche le sue ultime opere prima della scoperta della malattia, perché per Chiara l’arte non è solo interesse ma anche ricerca e lavoro. Chiara infatti è un’artista (il suo profilo Instagram QUI).

Sono 21 maschere, ognuna con un’espressione che rimanda sensazioni ed emozioni negative. Questo, per Chiara, è stato il cambiamento più grande di tutti: cambiare il punto dal quale guardare alla vita, riflettendolo nell’arte.
Per tanti anni si è sentita circondata dal brutto, da cose negative, dalla visione ineluttabile della rovina in tutto.
Un mio amico artista mi diceva che al mondo non c’è solo il brutto, ma lei non lo vedeva. Sceglieva di volgersi dall’altra parte, di guardare al peggio. La sua visione si nutriva di emozioni negative che contaminavano la sua arte.
Il male insegna il bene. La mortalità ci ricorda che siamo vivi.
Purtroppo però non c’è fine all’abisso e col tempo il nostro corpo ci richiama a un qui e ora diverso. Adesso Chiara si chiede come fosse possibile che io abbia dato tutto questo spazio alle emozioni negative.
Senza negarne l’esistenza, ora la sua ricerca volge al bello. I colori, i soggetti delle sue opere sono cambiati. C’è più spiritualità, più coraggio, più rispetto per ciò che di buono la vita comunque riesca a offrire, anche se non senza difficoltà.
Il suo approccio ora è positivo.
Questo mi ha colpito molto perché di fronte a una battaglia come quella col cancro i nostri pensieri si fanno cupi e negativi. E’ qualcosa che vorremmo non esistesse e che non ci riguardasse mai. Ci sembra la fine, e invece può essere un inizio. Una cosa fondamentale che non conoscevo.

Io non sono la mia malattia

A questo punto ci tiene a mostrarmi delle foto che ha sul pc, dei selfie scattati con le ciglia artificiali del progetto ZittoCancro, col quale collabora.
Progetti come questo sono importanti non solo per i fondi che raccolgono ma soprattutto per la cultura che diffondono e il sostegno che offrono. In situazioni così complesse, nessunu deve essere lasciatu a sé.

Prima di salutarci, mi mostra un altro oggetto importante: il faldone nel quale tiene i risultati delle sue analisi.
Può sembrare un oggetto triste, ma anche qui Chiara sovverte la narrazione tradizionale e il faldone diventa un diario di viaggio, una raccolta di ostacoli superati, di passi fatti verso la guarigione e verso quella nuova vita che sta costruendo con serenità.
Chiara è metodica e il faldone è lo strumento col quale gestisce l’azienda-corpo, ciò che da’ nome e forma alla sua battaglia. Le riordina le idee, le indica cosa fare e la strada da seguire.
Le dice che un giorno non le servirà più, ma che il viaggio fatto insieme anche se con dolore sarà valso la pena perché ora Chiara ha scelto di vedere chi è e cosa le faccia davvero del bene.

CALL FOR STORIES

La storia di Chiara è la prima che ho iniziato a raccontare per un progetto parallelo a Younalogue che ne aumenti la densità di senso. Se anche tu vuoi raccontare la storia del tuo corpo e di come sia cambiato (o conosci qualcunu che voglia farlo) ti invito a scrivermi una mail dettagliata per parlarne.
Grazie.

Sitografia:

profilo Instagram di Chiara Serini

pagina Facebook del progetto ZittoCancro

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