Etica in pellicola

Younalogue è un progetto che vive su pellicola, ma non nasce per la pellicola; nasce a causa della pellicola.
Questa serie credo non possa avere lo stesso senso che abbia adesso se fosse sviluppata tramite fotografia digitale; non tanto per il fascino della pellicola, quanto per il fatto che la pellicola imponga una sorta di “finitezza” creativa a quanto si stia producendo.
Il fatto di avere a disposizione un numero limitato di scatti (seppur molti) per ogni rullino, unito al costo stesso di tutto il sistema che ruota attorno alla fotografia analogica, fa sì che nello scatto ci sia una sorta di maggiore accuratezza compositiva.
Nel caso di Younalogue questa accuratezza non è solo compositiva, non si sviluppa quindi esclusivamente nel momento-scatto della produzione fotografica, ma parte da prima: da quando cioè si inizia, con la persona partecipante, un dialogo empatico al culmine del quale il corpo nudo mostra attraverso il suo alfabeto (unico per ognun*) la storia veritiera (unica anch’essa) che lo abita.

In un certo senso, quindi, Younalogue consegna al ricordo fotografico l’essenza della persona in quel dato momento, cristallizzata nelle fotografie del suo corpo, che sono l’oggetto attorno al quale si sviluppa il dialogo riguardo il progetto e il messaggio che si tenta di dare.
Ho trovato un buon parallelo concettuale in un volume dell’ottimo e consigliatissimo Zygmunt Bauman, una delle teste più importanti dell’ultimo secolo, che trovate in calce alla citazione. Ho voluto riportarla dedicandole un articolo poiché ho riscontrato molte affinità tra le parole scritte da Bauman e l’idea, appunto, che un progetto come Younalogue possa esistere all’interno di un contenitore “finito e materico” come la pellicola fotografica.
Buona lettura.

“Marshall McLuhan è noto per aver coniato l’espressione <<Il medium è il messaggio>> […] Si potrebbe dire che se il medium che ha fatto da messaggio nell’era moderna è stato il rullino fotografico, il suo equivalente nel mondo di oggi è la videocassetta. Il rullino fotografico può essere usato una sola volta, non c’è una seconda possibilità. Ma una volta usato, conserva l’immagine per molto tempo. In pratica per sempre. Pensiamo all’album di famiglia, pieno di ritratti ingialliti di nonni, bisnonni e innumerevoli zii, tutti con il loro nome, tutti da tenere in considerazione e da non dimenticare, ognuno una pietra che si aggiunge al castello di una tradizione di famiglia in lenta ma costante costruzione, da cui non si può rimuovere neanche una parte, in cui tutto è, nel bene o nel male, per sempre… E pensiamo adesso alle videocassette, fatte in modo tale da poter essere cancellate e riutilizzate più volte. Si registra qualsiasi cosa possa sembrare interessante o divertente in un determinato momento, ma la si conserva finché dura l’interesse. E il desiderio è destinato a diminuire nel tempo. Se il rullino fotografico trasmetteva il messaggio che le azioni e le cose contano, tendono a durare e hanno delle conseguenze, si intrecciano e si influenzano a vicenda, la videocassetta veicola il messaggio che tutte le cose esistono per se stesse e contano solo fino a nuovo ordine, che ogni frammento inizia da zero e che le sue conseguenze, qualunque esse siano, possono essere cancellate senza lasciar traccia.”

Zygmunt Bauman: Di nuovo soli. Un’etica in cerca di certezze (Castelvecchi 2018)

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